In questi giorni di pioggia incessante, riflettevo su quanto i colori influenzano le nostre vite, gli umori e i malumori, ma anche su quanto le varie sfumature, anche di uno stesso colore, rendano diversi dei medesimi oggetti. A seconda della moda del momento ci sentiamo quasi in obbligo di possedere almeno un capo di abbigliamento del colore dell'anno, quando, solo poco tempo prima saremmo sembrati marziani.
Ricordo ad esemopio che, da bambina, mio zio aveva osato comprarsi una Lacoste viola, con totale disapprovazione di mia zia che l'accusava di avere il gusto dell'orrido! Ok. Oggi mio zio sarebbe glamour da paura! Per non parlare di mia figlia: nell'armadio ha così tante cose che passano dal colore vinaccia al lilla, piuttosto che ciclamino, che orami si è autoconvinta che il suo colore preferito sia, appunto, il viola. Decisamente la mamma ha pilotato questa scelta.
Guardando fuori dalla finestra tra l'altroieri, ieri e oggi, non facevo altro che sbuffare, pensando a quanto mi rende pigra e svogliata il cielo grigio. Vorrei rintanarmi sotto le coperte e non fare nulla, in attesa che passi. Che ci posso fare? sono una donna di mare e amo il caldo che ti brucia la pelle, quello che ad immaginarlo lo vedi giallo-arancio e che si può afferrare!
Comunque...ieri era tutto grigio. Così come i nostri umori. La piccola era nervosa e si rifiutava di collaborare, la mia dolce metà era tutt'altro che dolce al pensiero che il giorno dopo sarebbe stato a bagno per lavoro, il cane non voleva uscire e i gatti erano affamati come e più del solito con conseguente e incessante miagolio! Poi siamo usciti e salendo sulla soprelevata (scempio anni '60, croce e delizia per noi zeneizi, ma che percorsa in entrambi sensi ha il suo perché per lo spettacolo naturale che offre), quel grigio topo è diventato grigio ardesia: si rifletteva sui tetti e sulle facciate esposte a nord, si fondeva con il mare autunnale, sbavava sulle facciate colorate di Sottoripa e sulla cintura di Circonvallazione a Monte. E come sempre accade, quando mi fermo a guardare Genova con occhi nuovi, mi sono emozionata, tutto mi sembrava diverso, inedito. Con la mente immaginavo i cavatori del Promontorio della Lanterna che estraevano la pietra nera locale usata per chiese e palazzi. Immaginavo le donne della Val Fontanabuona nell'entroterra di Chiavari e Lavagna, che all'inizio e alla fine di una giornata di duro lavoro nei campi, raggiungevano i mariti nelle cave per trasportare a valle le lastre di ardesia tenute con un canovaccio arrotolato ad anello sulla testa . Le vedevo scendere lungo le
creuze (mulattiere), in fila indiana mentre intonavano dei canti per spezzare la fatica, e fermarsi sulle "pose", muretti a secco costruiti ad intervalli regolari che seguivano la linea dell'orizzonte, per potersi riposare e poi ripartire a passo sincronizzato e scalze per non scivolare.
E allora in quel grigio nell'atmosfera mi sono riconosciuta e mi sono detta che non era poi tanto male!